La biologia ci insegna che i capelli non hanno scopo funzionale per la razza umana, l’uomo potrebbe sopravvivere benissimo anche se fosse completamente calvo.
Forse un giorno l’essere umano considererà i capelli come annessi inutili e prenderà l’abitudine a radersi tutti i giorni il capo come fa, ad esempio, con la barba.
Perché allora l’uomo di oggi tiene tanto alla sua capigliatura al punto tale da soffrire per essa?
Perché ha per la perdita dei capelli sensazioni di angoscia così importanti da portarlo ad accettare cure dispendiose, spesso inutili, e tentativi, anche dolorosi, di ricostruire qualcosa che in fondo è biologicamente inutile non avendo più alcun significato, né di termoregolazione né di protezione?
Una diversa lunghezza di capelli fra uomo e donna fa parte del nostro patrimonio culturale. In natura i capelli sono un attributo importante del dimorfismo sessuale, siamo ancestralmente abituati a considerare l’individuo con i capelli lunghi di sesso femminile e quello con i capelli corti di sesso maschile.
Quando i capelli cadono è come se ci fosse una regressione ad una condizione analoga a quella infantile, nella quale non si sono ancora ben differenziati i due ruoli con i diritti ed i poteri che essi comportano. La perdita dei capelli può essere pertanto inconsciamente vissuta dal maschio come perdita di virilità o castrazione e dalla donna come perdita di femminilità.
Significativo, a questo proposito, è l’esempio di “evirazione” subita da Sansone che fu sconfitto dai Filistei solo dopo il tradimento da parte della propria donna, venuta a conoscenza che la sede della sua immensa forza era nei capelli.
Nella storia e nella mitologia i riferimenti ai capelli come sede di forza, energia, fertilità e virilità sono innumerevoli e li ritroviamo praticamente in tutte le culture.
Ricordiamo le usanze iniziatiche, proprie delle culture anteriori alla formazione di caste, che si ritrovano in tutti i Continenti ma in particolare nelle isole dell’Oceano Pacifico dove ai neofiti non veniva permesso di lasciarsi crescere i capelli che dovevano essere tenuti rasati o, in tempi successivi, dovevano essere nascosti da una calotta di pelle che mimava una calvizie e che non doveva essere tolta se non ad iniziazione completa. In particolare, non era permesso ai giovani di mostrarsi alle donne senza tale copricapo poiché si riteneva che la crescita dei capelli permettesse la fertilità e la potenza sessuale e levarsi il copricapo era quindi il segno del passaggio dalla condizione di fanciullo a quella di uomo.
Altro esempio sono i Monaci orientali il cui cranio rasato era simbolo di castità o i sacerdoti “Ho” delle tribù dell’Africa Occidentale che concepivano i capelli come sede del loro Dio.
I Masai possedevano la magia di “far pioggia” solo finché non si tagliavano barba e capelli e in alcune zone della Nuova Zelanda si considerava il giorno del taglio dei capelli come il più sacro dell’anno.
Anche nella cultura occidentale una gran massa di capelli costituiva patrimonio indispensabile alla potenza di un sovrano. Basti pensare alla stupenda parrucca di riccioli inanellati di Luigi XIV ed al fatto che l’appellativo di “Cesare”, “Kaiser”, “Zar”, attribuito nel corso dei secoli a sovrani o condottieri, ha anche un risvolto etimologico riferito a lunghi capelli da tagliare.
Così se Giulio Cesare si ritrovò di volta in volta costretto a ricorrere ad un riportino o ad una corona di alloro, l’imperatore Adriano non esitò a dissimulare con una parrucca quello che i suoi contemporanei consideravano una grave deformità. La stessa corona regale, del resto, con lo scopo dichiarato di abbellire la capigliatura del sovrano serve anche a dissimulare una incipiente calvizie.
La calvizie della regina Nefertiti e la preoccupazione del popolo per la chioma della sovrana indicano quanta importanza fosse data dagli antichi abitanti dell’Egitto alla loro capigliatura.
Lo scalpo è stato a lungo l’espressione del valore del guerriero, la prova del coraggio in battaglia, il segno tangibile di una vendetta ottenuta. Lo scalpo dei nemici uccisi era quindi un ambìto trofeo nella tradizione bellica degli Sciti e dei Giudei di Maccabeo e lo divenne poi in quella dei pellerossa Americani che pensavano che Manitù portasse in cielo i guerrieri uccisi in battaglia afferrandoli per i capelli.
Con l’avvento della religione Cristiana la tonsura divenne pratica abituale per i monaci, convinti così di rendersi sessualmente non attraenti ed esprimere umiltà, obbedienza e distacco dai beni del mondo.
Imporre invece il taglio dei capelli è sempre stato segno di profondo disprezzo, gli antichi Romani tagliavano i capelli dei prigionieri, delle adultere e dei traditori.
I capelli sono sempre stati considerati simbolo di virtù muliebre, sicché la ricchezza di una fulgida chioma consentiva a Lady Godiva di apparire virtuosa quando a cavallo percorreva nuda le strade di Coventry mentre, al tempo della seconda guerra mondiale, donne accusate di facili costumi o di collaborazionismo con il nemico venivano rasate e poi costrette a mostrarsi ai concittadini.
Anche le streghe, nel nostro medioevo, prima di essere giustiziate venivano rasate sia per esporle alla pubblica vergogna ed al disprezzo di tutti sia perché si riteneva che nei capelli fosse riposta gran parte della loro potenza malefica e rasate non potessero più nuocere.
Nell’immaginario collettivo la calvizie conferisce un’idea di prematuro invecchiamento ed un esplicito segno di declino ed è spesso causa di insicurezza nell’ inserimento sociale dell’individuo.
Nell’essere umano i capelli hanno la funzione di essere visti per esprimere, fra conscio ed inconscio, complessi messaggi sociali, essi hanno un profondo valore simbolico sul quale è inutile discutere…
…il loro significato è quello di essere osservati ed ammirati!
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